Racconto: Svalbard, un caleidoscopio di colori – Beatrice Bosio Figini

Partecipante: Beatrice Bosio Figini
Viaggio: Svalbard, luglio 2013 (kayak e trekking, 10gg)
Titolo del racconto: Svalbard, un caleidoscopio di colori

Il vento caldo da sud che ha portato 28 umidi gradi, qui a Stavanger,  temporali fortissimi ha lasciato il posto ad un fresco vento che soffia da Nord e fuori è fresco, c’è ancora luce e ci avviciniamo ad un dolce e intimo tramonto.
Con la porta della terrazza aperta, l’aria fresca sul viso, il the caldo con il miele in fronte a me, è più facile scrivere delle Svalbard. Sono appena andata a fare la spesa e ho riconosciuto sugli scaffali i prodotti pronti che abbiamo mangiato per una settimana intera. Ho ricordato i loro sapori e i soprannomi che gli abbiamo dato per scherzo creando un linguaggio comune nel nostro piccolo gruppo e rivivo le emozioni che mi hanno rapito lassù!
Emozioni: durante questa vacanza ho staccato completamente la testa e non ho ricordi cui pensare ma emozioni da rivivere!

Mi sono chiesta: che profumo ha l’Artico? Quali sono i suoi colori? Quel bianco accecante tipico della neve dei paesaggi alpini? sicuramente no! Rivedo una miriade di bianchi, oscillanti tra il bianco-azzurro del fronte glaciale che si riversa nel fiordo, il bianco-grigio delle nuvole, il bianco più acceso dei gabbiani e delle rondini di mare, il bianco giallognolo del pelo delle piccole renne che si reggevano appena in piedi, il bianco del latte in polvere allungato con l’acqua del ghiacciaio leggermente opaca e mineralizzata. Il verde è stato una rivelazione: i muschi e licheni artici, formano morbidi cuscinetti di un verde acido scintillante, in pieno contrasto con il grigio delle pietre che li circondano; quanto era forte quel verde, quanto brillava. Piccoli, ma tenaci fiorellini punteggiavano la tundra, bianchi, scossi dal vento, con alcune striature rosa, oppure lilla intenso ad attrarre l’attenzione delle renne e degli uccelli artici.
Mille tonalità di grigio e marrone a tinteggiare le montagne e gli speroni rocciosi; grandi pennellate date in direzioni, che per i geologi significano qualcosa, a me invece fanno scoprire quante tinte più o meno forti ci siano!
E poi il mare, l’acqua, di fiordo o di mare aperto, cupa e intensa tra blu-azzurro-verde e grigio. E  così trasparente nei piccoli laghetti tra la tundra: sì, perché a meno di un metro dalla superficie del terreno, in profondità la terra è ghiacciata, il famoso permafrost, e quindi l’acqua non cola ma rimane in superficie… bello, soprattutto, saltarci dentro con gli stivali e sentire quel cec cec che tanto ha accompagnato gli autunni da bambina.

Del mare sento l’andirivieni incessante e premuroso di imponenti maree e il profumo, a volte acre, delle alghe al sole, all’aria, al vento.

Un grande cielo sopra, acqua sotto e, in questo spazio infinito e aperto, puntini colorati; tende rosse, barche bianche e azzurre di uomini e donne che si spingono quassù!

Luce e silenzio: nulla che incombe e nulla che invade; un silenzio in cui entri ed esci, con una parola, uno sguardo, una risata… un ambiente brullo, spazzato dal vento, quasi incontaminato, anzi uno dei più incontaminati. Un ambiente dove, per magia, non ho avuto paura, mi sono sentita a casa anche sotto la pioggia incessante… l’Artico mi ha accolto così! Il mare, l’acqua, la cavalcata con gommone fuori bordo del primo giorno che ci ha lasciato in una piccola baia con le nostre casse viveri e le tende, dopo due ore di mal di mare…ecco mi sono sentita un puntino fuori luogo, per un attimo…ma, montata la tenda e bevuto un the caldo, sempre puntino ero ma meno fuori luogo!
Il primo giorno l’elenco delle regole da rispettare ti fa sentire ospite, anche sgradito, sicuramente non scontato di questa terra, dove l’uomo va.  Perché ci  va, a vedere che cosa? A fare la pipì solo sulla spiaggia con la pistola in mano (pistola con una particolare cartuccia, da sparare verso terra, se per caso vedi un orso perché l’orso fugge il rumore… e ci credo abituato al silenzio…); a camminare in gruppo, vicini, dietro la guida armata, di fucile, carico; a non lasciare traccia alcuna del nostro passaggio, senza raccogliere un sasso, un lichene, un fiore; a piantare le tende veramente vicine, dove l’intimità è un lusso! … a vivere come un unico essere: tutti in tenda, oppure tutti in kayak, oppure tutti a camminare: l’orso teme il rumore… io anima selvatica a volte un po’ ho sofferto e mi sono difesa camminando a testa bassa, con il cappuccio in testa, persa nel verde dei licheni, leggermente distanziata dal gruppo, ripresa innumerevoli volte dalla guida… che mi diceva ti capisco, ma qui funziona così.

E’ stato bello, mi sono svuotata la testa, niente telefono, niente orologio, niente pensieri su cosa fare o meno, affidata a una premurosa guida francese che ci diceva sempre cosa fare e cosa mangiare… insomma un po’ come dei bambini…nelle pozzanghere in autunno.